Confessioni di un'ultracinquantenne

Nessuno può farti sentire inferiore senza il tuo consenso - Eleanor  Roosevelt

Il mio consenso, indubbiamente, c'è, quindi vediamo un po' oggi quali sono i limiti che si fanno sentire di più. È un mix, con alcuni punti fermi e alcuni elementi variabili, come ogni miscela che si rispetti. Ci sono punti fermi, elementi costanti, legati all'essere donna e a migliaia di anni di educazione, ma ci sono anche solidi fattori generazionali, inadeguatezze attribuibili all'età, alla famiglia, alla storia personale. E poi c'è il contingente: quei limiti che si scoprono giorno per giorno, perché non si finisce mai.

È difficile togliersi dalle ossa il concetto di modestia femminile. Facciamo tante battaglie, condanniamo con tanta fermezza l'attuale integralismo islamico, ma non è passato poi molto tempo da quando, anche in Europa, la donna era una proprietà prima del padre, e poi del marito, quando la donna non poteva frequentare l'università, quando si governava la famiglia (anche economicamente), ma di nascosto per non sminuire la dignità maschile. Inutile ridere, o stupirsi: ancor oggi nell'immaginario collettivo lo stipendio della moglie è "il secondo stipendio", e talvolta capita persino di rimpiangere il fatto che non sia davvero così, perché vorrebbe dire che di stipendi in famiglia ne entrano due. No, non ridete: il mio primo fidanzato ufficiale era fermamente convinto che le mie scelte professionali fossero meno importanti delle sue. Ovviamente è finita, ma ho impiegato anni per trovare un marito che, tra gli altri pregi, avesse anche quello di non sentirsi sminuito dal fatto che il mio stipendio fosse maggiore del suo. E ricordo anche molto bene lo sguardo di chi pensava che io facessi un lavoro prettamente maschile o lo stupore rivolto ad amiche che sceglievano facoltà universitarie dove le donne erano mosche bianche. Io l'ho vissuto.

E già che parliamo di età, che dire della mia generazione? Siamo, le donne in particolare, quelli che hanno sempre l'età sbagliata.

Abbiamo ubbidito a genitori più o meno severi perché i bambini ubbidiscono. Abbiamo fatto gavetta sui posti di lavoro perché eravamo gli ultimi arrivati, e ci siamo sentiti rifiutare promozioni in quanto troppo giovani. Poi, simulando quella tradizione partigiana con cui siamo cresciuti, una mattina ci siamo svegliati troppo vecchi. E abbiamo cominciato a combattere con rampanti bocconiani che si sentivano infelici se non arrivavano al top management prima dei trent'anni. Poi ci siamo accorti che il mondo del lavoro pone il limite anagrafico massimo, l'asticella per prenderti in considerazione, intorno ai quarant'anni. Ma nel frattempo noi i 40 li avevamo superati, però ci è stato detto che non abbiamo l'età giusta neanche per la pensione. Noi l'età giusta non l'abbiamo, e non l'abbiamo mai avuta. Inutile recriminare, o sentirsi inferiori. In fondo anche questo comporta qualcosa di positivo: se l'età è, in maniera incontrovertibile, sempre quella sbagliata, non me ne sento colpevole, posso disinteressarmi del problema e vivere ogni giorno con l'età che sento di avere: troppo giovane per l'entusiasmo e i progetti che ho ancora o troppo vecchia per l'esperienza e quel po' di saggezza che ho raccolto.

Ed eccoci al punto: è il contingente di oggi che mi fa riflettere.

Oggi l'unica innovazione che gode di rispetto è quella tecnologica. Io ho qualche dubbio, perché c'è una contraddizione in atto di cui pochi sono consapevoli.  L'innovazione, e il rinnovamento, sono valori  del femminino, mentre la tecnologia è un'energia del maschile. Così la tecnologia corre, ma lascia indietro quell’unico cambiamento  in grado di fare la differenza: la trasformazione del cuore umano, come afferma Joseph Jaworski.

E la mia inadeguatezza di oggi è proprio sulla tecnologia, e sul pensiero ad essa correlato. Mi spiego meglio. Un cambio di computer e di sistema operativo mi hanno reso evidente che sono arrivata a quel fatidico punto della parabola.

Ogni cosa nuova crea entusiasmo, ogni tecnologia nasce per facilitare la vita, accelerare i tempi. Poi la tecnologia migliora, i tempi si abbreviano ancor di più. Poi, poco a poco, impercettibilmente, lo strumento prende il sopravvento, la tecnica diventa più importante del contenuto. Si arriva in cima alla curva, e da lì le nuove tecnologie e i nuovi strumenti creano più complicazioni che benefici.

Il parametro, totalmente soggettivo, non si applica solo alla macchina, ma a tutto il sistema ad esso correlato. Era bello poter inviare una mail, fino a quando la lettura delle mail non ha richiesto un paio d'ore al giorno. È bello avere a disposizione i social network, ci credo ancora. Poi leggi che se vuoi usare questi strumenti come libero professionista, per farti conoscere, cercare clienti o promuovere qualcosa, devi assolutamente fare personal branding, marketing virale, neuromarketing, …

E il cerchio si chiude: la modestia femminile, l'età sbagliata, la tecnologia ingombrante. Ed eccomi, tra un'esplosione e l'altra di inadeguatezza, a rivedere profili, mettere link, lanciare collegamenti, cercare di promuovere alcune cose che mi stanno particolarmente a cuore. Ed è qui che ringrazio l'educazione ricevuta, l'età avanzata e la cronica incapacità tecnologica. Sì, perché mi viene da ridere. Perché alla mia sbagliata generazione, alla mia sbagliata genetica femminile, hanno insegnato la curiosità e l'autoironia: due valori forse obsoleti, che non cambierei con nient'altro.