Mi fa arrabbiare, mi fa soffrire

Mi capita molto spesso, in tutte le mie attività, di sentirmi raccontare di sofferenze subite. Tutte reali.
È proprio così: le sofferenze subite sono tutte reali, e ciascuna merita rispetto. Ma a volte è indispensabile cambiare punto di vista. Frasi del tipo “mi fa arrabbiare”, “mi fai soffrire” vengono identificate in comunicazione come distorsioni o deformazioni, una modalità di elaborazione della mappa del mondo che, contrariamente a quanto fa pensare la sua definizione, è in moltissimi casi estremamente utile e vantaggiosa. Infatti concettualmente facciamo uso della deformazione ogni volta che pianifichiamo le nostre azioni future, o anche solo sogniamo ad occhi aperti il nostro bellissimo futuro, ed è distorsione anche il meccanismo che usiamo per motivare noi stessi. Ma ogni medaglia ha due facce, e la deformazione di attribuire ad altri le nostre reazioni è un elemento di cui disfarci al più presto. Può darsi che qualcuno si comporti volutamente in modo da farvi arrabbiare. Può anche darsi che qualcuno voglia farvi soffrire. Spesso le sofferenze che gli altri generano in noi, o che noi provochiamo negli altri, sono in realtà frutto di egoismi di cui non vengono valutate le conseguenze: la sofferenza altrui diventa quindi un effetto indesiderato, un danno collaterale. Ma poniamo il caso che qualcuno voglia davvero farci soffrire, e magari goda anche della nostra sofferenza. È possibile. Conosco persone così. Ciò che è importante è che qualunque sia il loro comportamento, o la loro intenzione, la vostra reazione è solo e interamente vostra. Quando si impara a scindere il comportamento degli altri dalla nostra reazione si fa un enorme passo avanti per il benessere, la consapevolezza, la gestione della propria vita e la propria libertà. Dire “mi fa soffrire” equivale ad attribuire ad altri il potere su noi stessi e il diritto di decidere delle nostre emozioni e della nostra vita. Ben diverso è, invece, riuscire ad affermare “ti sei comportato male, e io ho sofferto”. Perché se la persona non merita, se non ne vale la pena, possiamo anche scegliere di non soffrire. E, talvolta, possiamo anche scegliere di perdonare invece che soffrire, o dopo aver sofferto. Ma questo possiamo farlo solo se riconosciamo che il sentimento di sofferenza è totalmente nostro. Lo so, inizialmente le mie parole sembrano quasi assurde. Ma tutte le volte che, in un dialogo con amici o in un percorso di coaching, sono riuscita a far comprendere e a far passare dall’esercizio intellettuale e lessicale alla verità intrinseca del distinguere e separare le cose, i benefici sono stati numerosi e immediati. Lo dico, e lo faccio, perché così è stato per me.