Qual è la cosa più difficile nella vita?

Se oggi mi chiedessero qual è la cosa più difficile da fare “bene” nella vita direi: saper attendere. E più importante è l’attesa, più difficile diventa aspettare.

Peter Senge ha scritto: “Più veloce non significa necessariamente più brillante. In questo mondo che accelera di continuo, molte aziende diventano incredibilmente reattive, ma la gara verrà vinta da coloro che saranno in grado di pensare e riflettere velocemente piuttosto che da coloro che inizieranno semplicemente a correre”

Questo vale per le aziende, ma anche (o forse ancor più) per le singole persone.

Il concetto di attendere può sembrare estremamente semplice, ma basta guardare l’etimologia e ci si accorge che c’è molto più di ciò che appare:

attendere = tendere a …

aspettare = guardare verso …

quindi, in un certo senso, aspettiamo il tram, ma attendiamo che si realizzi qualcosa.

Ed è l’attendere che, almeno per me, è davvero difficile. L’esempio più banale di attesa risale ad alcuni anni fa: non moltissimi, ma sembra un secolo. Era l’ultimo giorno di lavoro prima di partire per una convention aziendale, dove il mio team avrebbe fatto due giorni di presentazione per il lancio di un nuovo prodotto. Noi eravamo già dotati di computer: le presentazioni erano fatte, consegnate allo staff aziendale. Ma la convention si teneva in una località priva di connessione internet (ecco perché vi dico che sembrano passati decenni!). Le nostre presentazioni erano quindi su CD, immodificabili, e dovevamo fornire la rete vendita di una serie di materiali cartacei: milioni di fotocopie. Erano le otto del mattino, con davanti un’intera giornata. Lo ammetto: eravamo un po’ isterici, preoccupati, ansiosi. Ci passò anche per la mente di chiedere un giorno di ferie, andare a casa a rifare la valigia … scherzando lo dissi anche al Grande Capo, ma mi guardò male, e rinunciai. Il problema, serio, era cosa fare in quelle 8-9 ore che dovevano passare prima di poter uscire. Di lavorare seriamente su qualcosa che non fosse la convention non se ne parlava: le nostre teste erano concentrate lì. Provammo a fare le prove, per la quarta volta, delle presentazioni, ma non funzionava. Anzi: rischiavamo di sconvolgere discorsi accuratamente preparati e testati, e danneggiare il lavoro di settimane. Uno dei miei collaboratori si mise comunque a ricontrollare le presentazioni, scoprendo qualche errore di battitura nelle slide, che non potevamo più cambiare. Venne ad avvertirci, e si beccò pure alcune parolacce. Un altro aprì sfacciatamente il giornale in ufficio, ma mi sembrò un gesto davvero sgarbato verso alcune impiegate che correvano come pazze, ed erano furibonde perché loro non sarebbero poi venute alla convention (e si sa, in azienda chi non parte ritiene che gli altri vadano in vacanza). Alle 10 avevo anche mal di stomaco, causato dai due caffè aziendali a cui non ero abituata. Alle 10.30 presi una decisione, l’unica che mi sembrava sensata in quella situazione. Andai all’ufficio fotocopie (sì, esisteva ancora un ufficio fotocopie!) e chiesi di poter aiutare. Mi guardarono allibite! Dottoressa, non è lavoro per lei! Chiesi se davvero non serviva aiuto, e mi risposero che sì, l’aiuto serviva, eccome, ma ritenevano assurdo avvalersi dell’aiuto di una dirigente. Promisi di non dir niente a nessuno, e spiegai la situazione. Poi mi misi a lavorare, raggiunta poco dopo da un’altra del mio staff. Alle 16.00 avevamo finito, e per mesi fui inseguita dai ringraziamenti dell’ufficio (le mie fotocopie venivano poi fatte prima di quelle di tutto il resto dell’azienda). Loro credevano di aver ricevuto un favore, mentre il regalo l’avevano fatto a noi.

Questo è un esempio, banale, di attesa difficile. Ma c’è molto di peggio.

Immaginate di aver lavorato per anni a capire qual è il vostro “compito” nella vita, il vostro destino. Poi un attimo di illuminazione vi rende tutto chiaro: cuore, volontà e cervello si sono collegati, la pancia si è connessa con l’anima, e improvvisamente sapete chi siete e cosa siete chiamati a fare.

Ora sapete di dover affrontare un duro lavoro, ma sicuramente è qualcosa che amate e fate volentieri. (queste sono le caratteristiche basilari delle chiamate: qualcosa di difficile che si fa volentieri).

Si comincia, si fa un piano, si dà una concretizzazione alla visione, si calcolano tempi, risorse, strumenti di misura e controllo. Si è pronti a suddividere il lavoro a tappe, per capire se si sbaglia, rivedere le modalità e i traguardi, controllare la strategia e adattare le tattiche. C’è entusiasmo, passione, le ore di lavoro sembrano minuti, i giorni ore, i mesi giorni.

Si fa qualche, minimo, adattamento, ma tutto sembra filare liscio, a confermare che sì, quella visione era giusta, siamo in sintonia con l’universo.

E poi … tutto è fatto, tutto è compiuto, tutto è portato a termine, e non succede nulla.

Non c’è trionfo. Non c’è sconfitta. Non succede nulla.

Vi è mai capitato? A me sì.

E allora si ripercorrono le tappe, alla ricerca di qualcosa di sbagliato. Si fa meditazione, alla ricerca di una nuova visione. Perché forse quello che avevamo identificato era solo una tappa, non il punto di arrivo. Ma non è così. I segnali sono sempre gli stessi.

Ci si rivolge ad un coach, un counsellor, uno psicologo, si tormentano gli amici, il coniuge chiede perché siamo così tesi, magari ci si rivolge ai tarocchi, o all’I Ching.

E sorge il DUBBIO. Si pensa di non aver capito niente.

Questa è la fase di attesa, ed è orribile e terribile.

L’I Ching, l’antico Libro dei Mutamenti della saggezza cinese, ha un esagramma e un responso apposta per questa fase: L’attesa.

L’attesa è terribile. Perché affinché qualcosa si realizzi serve la Vision, il cuore, l’anima, l’armonia con l’universo, la consapevolezza della nostra missione, il duro lavoro e il tempo, la variabile indipendente dell’equazione. Indipendente da tutto il lavoro e dalla volontà.

Eppure il destino si può compiere solo se sappiamo rimanere fiduciosi nell’attesa, solo se continuiamo a perseguire l’obiettivo. Invece nell’attesa rischiamo di perdere l’obiettivo, cambiare strategia, danneggiare il lavoro fatto.

  • Qualcuno comincia a muoversi come una farfalla impazzita.
  • Qualcuno cambia obiettivo, dimenticando la chiamata.
  • Qualcuno chiude gli occhi e dorme per far passare il tempi più in fretta, e perde l’occasione.

Perché nell’attesa non si può semplicemente “non far nulla”: bisogna continuare a far crescere il sogno dentro di noi. L’attesa è il momento della fiducia, verso noi stessi, il destino, e il disegno dell’universo.

Ci vuole l’abbandono privo di arroganza, la fiducia, la consapevolezza e la modestia: nulla ci è dovuto, ma sappiamo che l’otterremo perché …

Beh, se vi è capitato sapete perché dico che, per me, l’attesa è la cosa più difficile.